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Sonorità di legno e colori in Daniela Nardelli

9 Settembre 2016 di Michele Totta

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Nota introduttiva

L’artista Daniela Nardelli (Londra, 1967) dedica la sua attenzione di pittrice al legno. Ha dedicato una pala a padre Pio dal titolo L’invito, in cui il santo presenta il Bambino Gesù all’umanità. L’opera, è stata donata a Casa Sollievo nel 2012, nell’ambito del programma Adotta una cellula, per sostenere la ricerca scientifica (v. La Casa Sollievo della Sofferenza, anno LXIII, giugno 2012, pag. 134). L’eziologia dell’opera è da collegare a  un tronco d’olmo di 400 anni in cui, dopo il taglio verticale, la pittrice ha scoperto, con sorpresa, i tratti del volto del frate santo di Pietrelcina.

Michele Totta, avendo conosciuto di recente la pittrice di Atina (FR) e avendone ammirato le opere della terza collezione, ha descritto nell’articolo che presentiamo, i caratteri salienti della pittura della Nardelli.

"L'invito" di D. Nardelli
“L’invito” di D. Nardelli

L’albero include in sé e manifesta la sua natura archetipica di ponte tra le radici della terra, il buio sconosciuto dell’origine, e il Cielo, il luogo primo dell’origine divina (Roberto Mussapi). Nasce con un destino di dignitario del cielo l’albero, matrice d’ogni legno o tavola. Ma gli elementi botanici costitutivi, carbonio, ossigeno, clorofilla, sali minerali, acqua, luce, alveoli, combinati non a caso, diventano la sintesi chimica d’un prodigio della Terra e di Demetra, sua custode. Dalla corteccia al cerchio più intimo, il taglio a strati di un tronco adulto evidenzia l’intreccio di fibre, pori, nicchie, linfa, vene e polpa minerale, intima tessitura che trasmette piena la stupefazione.

Ancora da Mussapi (Gita meridiana) riporto che il regno della linfa/luogo segreto della sete/dell’ascesa alla luce/ diventa l’umile primavera, crocevia dello spirito. Così il legno, precursore della tela, si porta addosso un garbo salvifico.

Sul legno, materia di grande nobiltà, luogo segreto della sete per l’umanità del XXI secolo, la Nardelli va a impiantare, fibrillante, la pluralità del suo messaggio d’arte. Ciascuna opera è un lemma, con al suo interno una temperie di efficaci suggestioni. Daniela non varca mai la frontiera del bello dei grandi itinerari d’un passato lontano. Il percorso esplorativo non evoca mai le peripezie remote degli abissi, alla ricerca di Gilgamesh; di Orfeo negli inferi; delle anime nell’oltretomba, scaricate ivi da Caronte; del labirinto di Teseo: materiale della epica confluito nei resoconti del mito.

Nella Terza Collezione ella predilige temi più attuali: l’ecologia (Acqua, Zampilli); il sociale (Le Signore di Roma, l’Invito); la storia risorgimentale (Podgora, Il Grido, Il Richiamo dell’Aquila); modelli femminili (Demetra, l’Armonia familiare, la Fedeltà). E con rinnovata ispirazione e fiducia piena, illustra i capisaldi del suo credo cristiano (Candelora, Maria-Myriam, Corpus Domini). A lei stanno soprattutto a cuore, le qualità dell’uomo. L’etica anzitutto, istanza umana essenziale, compromessa dalla tentazione della abiura; la deriva morale nella società post-industriale; la frammentazione degli ideali. Rigetta lo spasimo, la beatitudine del benessere; lo scadimento del gusto artistico, provocato dalle Avanguardie al ‘900. Offre a rimedio il suo focus, fuoco d’arte neoclassica, ricco di racconto pedagogico, in una visione lungimirante, universale. Una proposta di respiro, di breefing sensuale e rigenerante costume.

La cifra di gradimento delle opere dell’artista anglo-italiana sfiora (venia per l’azzardo) la ustione d’anima. E’ prioritario il recupero dei propositi umani, amore, speranza, attesa di giustizia, coraggio, fiducia, amicizia, espressioni che il suo pennello esplorara con sensibilità e perizia femminili. La convinta paideia guarda l’uomo contemporaneo, conteso nel fuoco incrociato tra i valori della tradizione e l’orientamento all’Umanesimo laico, agnostico, chiuso tutto nella mano del Fato e negatore del senso del sacro. Laicità concessiva, sensual-edonistica, pervia a ogni concupiscenza. In tale contesto si propone, purissimo, il peso della Provvidenza, fungibile e vivo oltre gli accadimenti, nella cosiddetta storia umana.

L’artista di Atina insegue la plasticità o volume, tesa a superare la bidimensionale pittura. Con schema semplice, ripetuto in efficacia pervasiva, ella incardina a piramide i soggetti delle sue tavole, attingendo alle più classiche realizzazioni della scultura, ma anche della pittura. Si pensi alla cinquecentesca “Pietà” del Buonarroti in San Pietro a Roma; al gruppo statuario ellenistico “Laocoonte” (sec. II-I a.C.), e a “Nilo”, gruppo statuario alessandrino (sec. III a.C.).

Una dopo l’altra scorrono vivide come ideogrammi, le tavole della terza collezione. Più di tutte amo l’opera “Orient Express”, sintesi di ogni viaggio umano, sentimentale, architettonico; ma anche perfezione dell’arco, emblema della cupola celeste; esaltazione del grattacielo, sfida continua per l’umano ingegno. Il viaggio nel mondo delle percezioni sensorie e interiori, in continuo genera la scienza, la poesia, la fotografia e, non ultimo, lo scenario della psico-analisi.

L’aristocratica fanciulla in primo piano è l’umanità, in moto sui binari della libera fantasia, sulla locomotiva senza frontiere, sul vortice della ruota, che incontra e moltiplica l’entusiasmo per ogni incontro tra le razze. Ruota ancestrale presso i cavernicoli, mozzo che movimenta la mano dell’homo sapiens, fino a farsi anello energetico nel cuore dell’atomo, per divenire potenza e onnipotenza nell’evo corrente, con l’homo tecnologicus.

Su ogni tavola d’arte, inossidabile coglierai lo stupore. Incanto reso fluido nelle tinte a semitoni e a pastello, del verde, giallo, rosso, glicine; nel bianco merlettato o nel panneggio essenziale, che accoglie nelle sue trepide cortine. Cromatismo dilettevole, non facile da trovare in altri artisti.

Da ultimo, l’immagine cristica in “Getsemani“. Promana da essa un simbolismo, arduo da descrivere, però ben espresso nei tocchi dell’artista e nel fresco incarnato dell’ulivo antico. Come imago picta ab Aeterno, una icona dipinta dall’Eterno, senza anatomia, senza proporzioni ma vivissima, trasmette una monumentale catarsi.

Le pale lignee della Nardelli esprimono filantropia passionale o esimia architettura pittorica?

Credo, entrambe le componenti.

Daniela cattura tutta l’armonia e le sintonie dell’albero, il fluido materico del legname, l’incoercibile suo respiro, il palpito segreto, la rorida frenesia, diventate cento metamorfosi di sogno, fissate ad arte nel colore. Sicché le tavole dipinte procurano una compagnia mistica, di dolcezza totale e leggerezza.

Emozione lungimirante anche lo stilema. Le stagionali linfe che hanno irrorato fibre e tubercoli del legno, i tocchi di mano nel ritmo dell’artista, il recupero dei materiali vili, emergono con la potenza della innocenza. Linfe, colori e cornici premiano, con fervescente mattinale grazia.

All’ammirata   conoscenza del legno, che sfiora la venerazione, Nardelli affida la pervasione piena o vibranza dei suoi colori, tesa a scaldare il fiaccato spirito contemporaneo. Un know how sapiente, una conoscenza urgente, un fatto ineludibile da erigere a baluardi, per fermare l’umanità sul ciglio della catastrofe morale, disseminata dal materialismo novecentesco. Messaggio speciale, che rivela -per la nitida scrittura di segni, proporzioni e atmosfere- le risorse del suo spirito, davvero sconfinate.

La cromia ha il piglio deciso e fiero , dei declivi boscosi laziali e l’ordito di campiture agresti fulgenti alla luce, capaci di equilibrio, come pure di forte sospensione. E’ il trionfo, perché no? Dei siti rurali di Ciociaria.

Ispirata a caldo istinto d’arte e singolare empatia compiutamente espressi, l’opera sancisce la vittoria delle sfere spirituali (Platone) sui tentacoli irredenti della materia .

M i c h e l e T O T T A

San Giovanni Rotondo, agosto 2016

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